La Lazio Trail, una avventura Gravel raccontata da chi l'ha vissuta
Un racconto emozionante di Valeria Giardino
Ore 6,00 Investiti da una radente luce dorata, le nostre bici scalpitano insieme ai nostri cuori sotto l’antico acquedotto Romano: è un bel momento quello della partenza, quando tutto è ancora da giocare, quando davanti a te si apre l’avventura.
Qualche raccomandazione ... noi siamo in sei: Io, Marco, Francesca, Diego.

Ci tuffiamo seguendo la colorata scia di matti pedalatori, in direzione della via Appia antica.

Qualche ciclista, qualche pedone, ma è quasi tutta per noi a quest’ora del mattino.
Ci sono bei colori sotto il cielo dell’alba: il giallo della terra battuta lungo il percorso, il verde dei pini e dei cipressi contrastano con il nero del pavimento fatto di sanpietrini scuri; ci sono anche tratti di strada dove le antiche lastre di basalto vulcanico che affiorano sul pavimento si rivelano veramente impedalabili.... seguiamo le tracce lungo la terra battuta per toglierci dal pavimento di pietra che effettivamente sembra un pò scivolooosoooo.....Sbadabang!!!!
Non so come ho fatto: mi ritrovo lunga distesa per terra, le facce dei miei amici intorno preoccupate...
mi alzo e... tutto ok, insomma... a parte il ricamo delle pietre sul lato destro del mio corpo... sono frastornata.
Tiro su Yoda, la mia amata Fargo verde e..... tragedia!!!
La leva del cambio è spezzata alla base.

Yoda cosa è successo?
Nastro americano intorno alla leva per tenere insieme i pezzi e poi spingiamo gli amici a proseguire: “state sul percorso vi raggiungiamo”.
Sob, mi dispiace tanto lasciare Francesca e Diego, ma loro se la caveranno benissimo, sono io che ho un problemone!
La ricerca di un meccanico che mi risolva il problema diventa vana: anche nel Lazio come da noi in Emilia Romagna tutti i negozi di bici sono oberati di lavoro e i due negozi che riusciamo a raggiungere rifiutano qualsiasi tipo di intervento, ma nel frattempo riesco a constatare che la leva così arragngiata comunque mi permette di frenare... sono in pianura, ma, è già qualcosa.
Marco ha un idea. Sfasciamo il cornetto invalidato e proviamo con l’attak a fissare lo sbrego. Funziona! Il cambio soffre terribilmente e decido di non usarlo poichè il freno fa il suo lavoro e non voglio sforzare la leva se non per frenare. Speriamo che tenga!
Un’altro bel giro di scotch e poi partiamo all’inseguimento degli altri, certo che.... io non sono un fenomeno... sono le dieci ma vabbè.
L’importante è continuare!
Si sale per Castel Gandolfo e poi Nemi.
Sono felicissima di vedere che il mio freno dx tiene anche in discesa, cosi posso gustarmi senza problemi, la splendida vista sul lago.

Non è una giornata calda per fortuna, ma l’entrata nel bosco del Parco regionale dei Castelli Romani sul Monte Artemisio giunge comunque gradita....
Ci sono molti bikers in giro per gli innumerevoli sentieri, molti di loro conoscono il Lazio trail: scambiamo qualche parola, ci auguriamo buona strada.
Pedaliamo un pò al fresco e poi un altra sosta e, finalmente, azzanniamo i panini con porchetta e cicoria: sono immensi! Valeva la pena venire fin qua in Lazio, anche solo per questi panini...
I nostri amici procedono ad una ventina di km circa davanti a noi.
È tutto perfetto.
Sulla strada sterrata, si apre il blu del cielo e poi il giallo del grano intorno a perdita d’occhio.
Valmontone sussurra la parola “libertà “ ai miei sensi, i miei piedi spingono felici sui pedali, certo con non poca fatica ogni qualvolta che devo salire; ogni tanto Marco mi aiuta a spostare manualmente il cambio, quando le salite sono più difficili ma, comunque, pedalabili... ahah mica sarà sempre cosi. Tutto questo sali scendi ci mette voglia di una birra, così deviamo verso un centro commerciale ( Colleferro )dove brindiamo alla polvere caricata sulle bici con due bei boccali di luppolo!
Il percorso continua poi su una ciclabile lunghissima, che ci porterà con una salita molto regolare a Fiuggi; raggiungiamo Acuto quasi sul tramonto. La luce si fa calda sul paesaggio che si apre ai nostri occhi, mosso dai rilievi di colline, fino all’orizzonte . Spazio e cielo: la valle sotto di noi si tinge di nuovo di luce dorata.
Comincia a farsi sentire la stanchezza.
Tra pause, foto e riposini, arriviamo a Fiuggi dove i nostri amici ci aspettano in una bella e comoda camera d’albergo.
Ci ricongiungiamo ai congiunti, e facciamo festa davanti a una bella birra e delizie del luogo.
La notte passa veloce quando crolli per la stanchezza; noi ragazze s’è approfittato per fare il bucato ed in stanza è una gimcana, tra magliette e calzini stesi ad asciugare.
Tra scherzi e risate ci apprestiamo a riempire i serbatoi con una abbondante colazione.
Nonostante tutto quello che mangiamo al buffet ( servito dalla cameriera, poiché causa covid è meglio che noi non si tocca nulla) l’albergatore ci trova simpatici e ci regala quattro o cinque bottiglie d’acqua con le quali riempiamo le nostre borracce; in cambio ci chiede di fare una foto tutti insieme con le bici davanti all’hotel, magari la userà per farsi un po di pubblicità, dato che offre un servizio di noleggio bike.
... eh eh siamo troppo fighi.
Arriva cosi finalmente il momento di rimetterci in sella...ahi... ahi ... inizialmente il sedere non gioisce di ciò... ma si rassegna in fretta, perché un attimo dopo siamo impegnati in una scalata verticale in uscita da Fiuggi.... scendo subito dalla bici io ... ho due possibilità con il cambio, posso usare la corona grande con catena a metà pignone, o la corona piccola, sempre con stesso rapporto pignone, quindi, su questo muro non ho un opzione adatta al mio motore... gli altri invece come caprioli sull’asfalto, salgono anche se le gambe sono ancora fredde, non senza qualche complimento ai tracciatori... Chissà chi dei due ha architettato questa chicca? Daniele o Paolo?
Finisce subito comunque, quindi le vite dei due tracciatori sono in salvo...
ci dirigiamo su strada verso una più ragionevole salita, che ci porterà sull’altipiano di Arcinazzo dove, sotto il cartello Passo Sella, diamo un aggiustatina alla mia di sella, che da un po’ sentivo troppo inclinata in punta.
Si procede poi in discesa all’ombra dei monti Simbruini verso le Cascate di Trevi circondate da una verde e selvaggia natura...
da qui la traccia ci infila in un ombreggiato saliscendi sterrato, che si snoda lungo il letto del fiume Trevi.
È domenica e la zona è molto popolata da famiglie in cerca di refrigerio, ci sono molte aree picnic e lungo il percorso in realtà troviamo parecchie segnalazioni turistiche, dato che la zona è ricca di siti archeologici e naturalistici da visitare: Il sole è molto caldo e la vicinanza dell’acqua è una benedizione cosi pedaliamo dentro questa stupenda gola tra le montagne giocando come bambini.
Ed è tra queste montagne che facciamo l’incontro ravvicinato con una piccola volpe che sembra addomesticata: ci viene incontro avvicinandosi alle nostre bici senza nessuna paura.

Proseguiamo in direzione Subiaco dove decidiamo di fare una piccola pausa con merenda e troviamo un forno che fa proprio al caso nostro, con delle pizze farcite eccezionali.

È davvero una cosa che apprezzo molto quando nei trail, percorsi di lunghezze differenti, hanno punti di contatto, ciò permette di condividere un po di strada con qualcuno, anche se si è un pò nelle retrovie...
Rimontiamo in sella e ci rechiamo a salutare Paolo, che ci aspetta per un altra foto di gruppo su un piccolo ponte all’uscita di Subiaco che dà inizio ad una pedalata su sterrato a fianco del fiume Aniene nell’omonima valle.
Il caldo si fa sentire nonostante la vicinanza dell’acqua, il cielo è terso e diamo fondo alle nostre borracce bevendo come se non ci fosse un domani, e rimanendo cosi presto, a secco.
Ed è cosi che Marco decide di fare un allungo per vedere se riesce a procurare un po di acqua per la nostra mini comunità, uscendo dalla traccia... ci raggiungerà imbottito di coca-cola mentre noi si sta arrivando in prossimità di un bar lungo la provinciale vicino a Mandela....pausa obbligata beviamo di tutto, comprese le coca cola di Marco.
Ora si sale per Licenza, il primo tratto è molto ripido: cuociamo letteralmente tra l’asfalto e il sole.... Barbara ed Alessandra le perdiamo subito... sono due mostri.... Diego si attarda con noi ad una fontana che trattiamo come una doccia.
Sono in forma nonostante il caldo, noto che le mie gambe si stanno abituando al provvisorio assetto della bici e salgo piano piano senza mettere un piede a terra; nella mia testa non so se è più funzionale il constatare che devo pedalare con quello che ho, o se la semplicità di non dover scegliere che rapporto può aiutarmi a salire, fa si che le gambe si diano da fare come mai prima d’ora.
Ed è cosi che procediamo inoltrandoci lungo la traccia che diventa sterrata, e mano a mano che ci inoltriamo la vegetazione si infittisce.
Ci raggiunge di nuovo uno dei due ragazzi della 580 con i quali si è fatta merenda a Subiaco: procede da solo adesso poiché l’amico ha ceduto al caldo e ad un riposino. Conosce la traccia da qui in poi, e ci avverte che il percorso diventerà un po “stronzo”; poi, sulle sue infaticabili gambette pedala via.
E quanto aveva ragione!!! La faccenda diventa veramente complicata e ci tocca di spingere le nostre bici in arrampicata libera, anche se per fortuna all’ombra! Ed è la volta delle bestemmie di Franci che avrebbe preferito avere con se la sua mtb per divertirsi su questi tratti un po turbolenti, invece ha preso con se la gravel ma la scelta non la soddisfa per niente....
cosi combattendo con una natura veramente esplosiva procediamo camminando in mezzo all’erba alta che invade il sentiero, i ragazzi davanti a me discutono di gravel o non gravel, ma non riesco ad ascoltarli perché sono letteralmente incantata dal volo di mille farfalle intorno.
Ce ne sono tantissime.
Sono contenta di essere qui anche se spingo la mia bici... tante farfalle cosi non le avrei viste se non fossi arrivata qui, gravel o non gravel.
Quanto è bella la vita in certi momenti, eh?
Riusciamo a sbucare dal sentiero, dove un salitone asfaltato ci porta in una piazzetta super popolata. Siamo a Licenza. Un piccolo bar tiene insieme gli abitanti del paese che riuniti in piazza ammazzano il tempo ed il caldo chiaccherando intorno ai tavolini del bar o sulle panchine: è quasi una scena antica. Come una foto in bianco e nero.
Cosi approfittiamo anche noi, ci uniamo alla combriccola di paese e, armati di gelato, entriamo nella foto, studiando la prossima tappa.
Il colle Cima Coppi in località Scandriglia è la nostra meta, usciamo da Licenza salutati da una moltitudine di rondini, mi pento un pò di non aver mangiato qualcosa di più di un gelato... mi sento vuota: rimango indietro, e salgo verso Orvinio con grande fatica.
Diego si lancia all’inseguimento del suo ritmo, raggiungendo Barbara e Alessandra che oramai sono imprendibili per me, Marco paziente e innamorato rimane con me, mentre Francesca ci precede aspettandoci poi ad Orvinia, dove trangugio due toast uno di seguito all’altro.
Mentre siamo li a cercare un posticino per distendere le gambe dolenti e riposare i glutei sedendoci su qualcosa di diverso da una sella, ad un certo punto vedo un tornado passare a tutta velocità cavalcante la sua bicicletta: è un “bikepacker,” anzi, anche lui ha la targhetta “Lazio trail”: anzi... È Rodney Sonnco!! Ci mettiamo ad urlare sbracciando come dei matti per salutare la scia di questo missile su due ruote.... e lui inaspettatamente torna indietro e si ferma a chiacchierare con noi. È di una simpatia esplosiva, in due minuti gli vogliamo già bene.

Siamo soddisfatte io e la Franci... Marco fa il tifo per noi.
E mentre il buio si annuncia, comincia la discesa, è un asfalto super vecchio e super sgarrupato... quasi come andar su sterrato.
I Tagliolini al ragù a Scandriglia rimangono nella mia memoria indimenticabili: non pensavo davvero di mangiarli tutti perché era un piatto enorme. Ma erano cosi buoni che non potevo proprio avanzarli. E sicuramente erano dopanti perché da li in poi ho pedalato senza un cedimento fino a Farfa dove arriviamo a sera tarda e dove decidiamo di dormire in un bellissimo parco alberato.
Le stelle ci guardano mentre sistemiamo i nostri sacchi in fila dietro una panchina, non ho freddo potrei anche non infilarmi nel sacco, ma le zanzare mi convincono subito che non è il caso di rimanere li, a fare da bistecca.
Diego Barbara ed Alessandra invece sono rimasta a dormire a Fara Sabina all’interno di un “castello” veramente speciale....
Il mattino ci riunisce, mentre arrotoliamo i sacchi a pelo, per un ultimo saluto,
Diego domattina torna a lavoro, Barbara ed Alessandra approfittano per un passaggio verso casa. Loro tre andranno via al ritmo delle loro fortissime gambe, per arrivare al traguardo entro sera.
Noi li seguiremo con più calma, poiché abbiamo ancora domani a disposizione.
Ci rituffiamo sulla traccia in cerca di un bar per la colazione, seguiamo una ciclabile a tratti sterrata e a tratti asfaltata, tra laghetti e villette, tra sali e scendi a volte implacabili.
Poggio Mirteto finalmente segna la fine della nostra ricerca di un bar per la colazione.
Il percorso poi si affianca al Tevere, per un lungo tratto. Si corre tra le pozzanghere e i fossi della sterrata... si corre nonostante il caldo che diventa insistente. Si corre sulle nostre bici, oltre i nostri pensieri, in compagnia dei nostri sogni. Si corre. Ed è bellissimo: a zig zag tra i campi di granoturco, le balle di fieno, la campagna che affianca l’autostrada, i cipressi e i sassi sotto le ruote, salutiamo il treno che passa veloce senza vedere nulla di tutto lo spazio che invece nutre i nostri occhi e i nostri animi.
E poi.... poi si arriva ad una piccola curva sterrata che comincia a salire, sempre di più. È totalmente esposta al sole, è verticale, ed è pure scassata.
Marco mette il motore al massimo e scompare dai nostri occhi, pedalando con grande potenza, Sticazzi!!
Io e Francesca spingiamo la bici, cercando un po d’ombra ad ogni piccolo cespuglio che affianco, quella che per me, rimane la salita peggiore di tutto il trail. Un caldo torrido. Nemmeno nel deserto ho sofferto un caldo cosi.... me la ricordo eterna e ripida, ricordo la sete, la fatica, gli abiti incollati al corpo sudato.
Siamo a Civita Castellana: ci impieghiamo quasi un ora a salire da li, e non è tanto il tratto che è lungo, ma sono le continue pause dietro ai cespugli ad allungare il tempo di risalita. Il sole si sta divertendo a bastonarci per bene.
Sopravvissute al salitone, il percorso diventa un tranquillo saliscendi sulla campagna che guarda ad un curioso monte a punta che si solleva solitario a dominare la valle del Tevere, scoprirò poi in seguito chiamarsi Monte Soratte.
Raggiungere Faleria è l’impresa epica di questo trail: almeno per me.
Sono sicura che mano a mano che ci avvicinavamo qualcuno la spostava...
Senza energia per le bastonate del sole, male ai piedi, al sedere, all’umore... fame. E la corona grande che a nulla serve nei tratti scorrevoli asfaltati perché non posso spostare il rapporto nel pignone. Mi spengo lentamente. Mi fermo sotto i noccioli, riparto.... non so come andare avanti.... è tutto lento. Io sono lenta. È crisi, atomica.
Però poi si arriva. Sotto un caldo infernale. Sosta per cibo, sdraiati sotto gli alberi sulle panchine. Anguria, bibite, panino con le melanzane.
Tolgo le scarpe con il timore di non riuscire più a rimetterle.
Uscendo da Faleria incrociamo Calcata Vecchia arroccata su una montagna di tufo che domina la valle del fiume Treja.
La nostra traccia prosegue con una risalita nel bosco piuttosto impegnativa, portage selvaggio la chiamo io; il Monte LI Santi probabilmente si chiama cosi grazie ai ciclisti che lo hanno percorso con le loro bici in spalla...
però nonostante la giornataccia reggo bene senza sfanculare. Sento un legame intenso e profondo con la mia Yoda. L’abbraccio volentieri anche là dove non riesco a pedalare. Mi sto lentamente riprendendo dalla crisi atomica.
E sul percorso che poi diventa ciclovia Francigena, troviamo anche una bella cascatella dove immergiamo i nostri piedi puzzolenti e stanchi.
Questo mi fa veramente bene. Le gambe riprendono a funzionare come si deve, riesco perfino a stupire i miei due compagni di viaggio che ormai mi davano per finita, arrampicandomi in piedi sulla mia Yoda su di un paio di rampette che incontriamo lungo il percorso sterrato che ci porterà in direzione Sutri dove abbiamo deciso di prendere una camera... poi ristorante, con amatriciana, carbonara, e agnello...ne usciamo tutti e tre soddisfatti e rimpinguati.
Sutri è proprio una bella città.
Telefoniamo alla metà del nostro gruppetto per sapere se sono in dirittura di arrivo... grandi!
Martedì mattina partenza prima dell’alba, per cercare di sfuggire al caldo. Ci riusciremo?
Con le nostre lucine affianchiamo la necropoli etrusca per raggiungere un lungo percorso tra i noccioli, e poi imboccare uno stupendo ciclovia che sfrutta la tratta di una ex ferrovia, sale leggermente ma non è faticosa, ed è uno spettacolo veder nascere il giorno da lassù.
Si vola cercando di fregare il caldo mettendo chilometri sotto le nostre ruote. Dopo una colazione a Civitella Cesi, Daniele ci aspetta prima di Monte Romano per un saluto e qualche foto. Ci segnala una necropoli etrusca lungo il percorso.
A Monte Romano facciamo una pausa, Francesca ha un importante chiamata di lavoro. Io e Marco ci sollazziamo spettegolando sugli abitanti autoctoni in sosta ai tavolini del bar dove siamo anche noi seduti.
Manca poco alla fine. Ormai vorremmo non finisse più.

Ringrazio la natura e la vita. Sono felice.
Con il mare negli occhi, rimpiango la partenza... quasi quasi girerei la bici e affronterei di nuovo tutto.
Ma il tempo scorre insieme ai chilometri sotto le ruote. Pedaliamo sull’ultimo strappo prima di Tarquinia, per scommessa, per chiudere in bellezza a cavallo dei nostri destrieri... e poi via, da Daniele e Paolo che ci aspettano all’arrivo, che ci accolgono con amicizia e birra. Cosa vogliamo di più...

E grazie a te mia verde Yoda.
Ti amo sempre di più.
